lunedì 3 settembre 2012

Due edifici di Frits van Dongen

Dev’essere dura al giorno d’oggi chiamarsi Frits van Dongen in Olanda; le domande che immagino ti vengano rivolte vertono sempre sugli stessi due argomenti: come mai the whale riscuote così tanto successo? Oppure: ma quindi lei è il nipote di Frits van Dongen?! Quanto mi è piaciuto Il tesoro segreto di Tarzan! Dipende dal tuo interlocutore. Già perché una delle poche star hollywoodiane olandesi attive negli anni Trenta e Quaranta decise di chiamarsi in arte proprio così, particolare assai curioso.
Ma il van Dongen di cui qui si vuole parlare è l’architetto recentemente nominato Chief Government Architect of the Netherlands, carica che accresce certamente le responsabilità affidate al suo nome, per noi italiani così legato ad un amico famoso di mascagnesca memoria.
Si direbbe quindi spalancato l’accesso che porta all’Olimpo delle archistar per lui e per lo studio di cui è socio, de Architeketen Cie, tanto più che l’associazione vanta realizzazioni, riconoscimenti e prestigiosi premi a livello internazionale.
Ma qui ci solleveremo dall’incombenza di parlare della  o di Ijburg, privilegiando il percorso  come foriero di significati, a discapito della meta. Sarebbe infatti coincidenza assai probabile che, con l’intenzione di raggiungere la zona Ijburg o Borneo-Sporenburg ad Amsterdam, voi vi imbattiate in due realizzazioni dello studio Cie firmate Frits van Dongen, meno celebri ma sicuramente non meno interessanti, anzi.
La prima si trova in Anne Frankstraat al numero 119, un blocco residenziale che definisce un isolato angolare all’incrocio tra due canali. Il programma edilizio di Botania (dal nome del cliente) risale al 1996 e prevedeva 40 alloggi e 1.000 mq a destinazione commerciale, più una quota di parcheggi, per un totale di 27.200 mc. L’edificio, finito di costruire nel 2002, colpisce per la sua stereometrica volumetria che si immerge liscia nel canale, senza alcun tipo di basamento o di cesura o differenziazione di materiale. Il parallelepipedo, così esteticamente risoluto e severo, ha in realtà una massa interna scavata con intelligente varietà, denunciata solo in minima parte dalle bucature sui prospetti. I quaranta alloggi infatti hanno dei tagli molto diversi tra di loro, definendo un mix tipologico che caratterizza fortemente la sezione dell’edificio: alcuni di essi sono passanti, lunghi e stretti, disposti in modo da avere l’affaccio su fronti opposti del blocco. Questa particolare scelta divide il vuoto centrale in due parti, due ambiti della corte che potremmo definire “attacco al cielo” e “attacco a terra”: sul primo si affacciano alcuni degli alloggi dei piani superiori costituendo un piacevole patio terrazzato in quota, mentre il secondo rappresenta un atrio dalla conformazione abbastanza articolata che smista gli ingressi ai piani inferiori. L’edificio nondimeno esprime ulteriore qualità per il suo perfetto inserimento nella parte di città storica che lo circonda. La felice scelta cromatica del mattone facciavista, gli infissi che si collocano con un impercettibile scarto rispetto al filo esterno della muratura, le cornici lapidee bianche che inquadrano le bucature (tipiche dell’architettura olandese “di canale”) rappresentano un’ottima rilettura della tradizione. Un ultimo sguardo alla massa muraria dei prospetti esterni, in effetti molto alleggerita, smaterializzata dalle trasparenze del vetro e dalle ombreggiature create dalle logge (non incorniciate), nel cui coronamento si intravedono le scale a chiocciola che collegano i singoli alloggi alla rispettiva terrazza.  
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domenica 3 giugno 2012

Igiene a Icara

Non ti starò a parlare delle precauzioni prese per l'igiene, per la libera circolazione dell'aria, per la conservazione della sua purezza, e anche per la sua purificazione. Nell'interno della città non esistono cimiteri, fabbriche insalubri, ospedali: tutti questi edifici sono situati alle estremità, in piazze ariose vicino all'acqua corrente o in campagna.
Non potrò mai indicarti tutte le precauzioni prese per la pulizia delle strade. I marciapiedi sono spazzati e lavati tutte le mattine, e sempre perfettamente puliti, è naturale: ma le strade sono talmente ben lastricate o murate che le acque non vi si fermano mai, dato che a ogni passo trovano aperture per sfuggire nei canali sotterranei.
Non soltanto il fango raccolto e spazzato con l'aiuto di strumenti ingegnosi, e comodi, sparisce, trascinato negli stessi canali delle acque delle fontane, ma tutti i mezzi che potresti immaginare vengono usati affinchè si formino meno fango e meno polvere possibile.

Etienne Cabet, Voyage et aventures de Lord William Carisdall en Icarie, 1840


F. Engels - La città e la campagna

Come chiunque deve riconoscere, la soluzione borghese della questione delle abitazioni si è persa dunque nelle secche, e si è arenata davanti all'intitesi tra città e campagna. E con ciò siamo arrivati al nocciolo della questione. La questione delle abitazioni potrà essere risolta soltanto in seguito a rivolgimenti sociali di portata tale da permettere di affrontare la l'eliminazione dell'antitesi tra città e campagna, che è stata portata a suo culmine dall'attuale società capitalistica. La società capitalistica, ben lungi dall'eliminare quest'antitesi, è invece costretta a renderla ogni giorno più acuta. 
[...] non è che la soluzione della questione delle abitazioni  porti con sè la soluzone della questione sociale, ma al contrario soltanto la soluzione della questione sociale, con l'abolizione del modo di produzione capitalistico, renderà nel contempo possibile la soluzione della questione degli alloggi.
Voler risolvere la questione delle abitazioni e nello stesso tempo voler conservare gli odierni agglomerati urbani è un controsenso. Ma gli odierni grandi agglomerati urbani saranno eliminati soltanto dall'abolizione del modo capitalistico di produzione, e quando vi sarà dato l'abbrivio a questo,si tratterà di ben altro che di assegnare a ciascun lavoratore una casetta appartenentegli in proprietà.

Friedrich Engels, Zur Wohnungsfrage, Leipzig 1887



martedì 22 maggio 2012

La città compatta


Sergej Ejzenstejn, regista magistrale e pioniere della sperimentazione nel campo del montaggio cinematografico, così scriveva nel 1929: «Non è questo forse il procedimento dell'ideogramma che combina l'immagine indipendente della “bocca” e il simbolo dissociato del “bambino” per dare il significato di “strillo”? Non è questo esattamente quello che facciamo noi cineasti nel tempo, come Sharaku nella simultaneità, quando creiamo una mostruosa sproporzione tra le parti d'un fatto che si svolge normalmente, smembrandolo di colpo in “un primo piano di mani che si torcono”, in “piani medi di lotta”, e “primissimi piani di occhi sbarrati”, disintegrando col montaggio il fatto su piani diversi?» .
Erano le basi del cosiddetto jumpcut, termine che poi è stato preso in prestito dalla materia urbanistica per indicare un fenomeno che proprio in quegli anni conosceva il suo stato larvale. Coeva è difatti la pubblicazione di Urbanisme e Vers une Architecture, testi nei quali Le Corbusier ebbe modo di teorizzare la sua definitiva scomunica della rue corridor a favore di un modello di città in cui volumi edilizi salubri ed efficienti “scordano” il rapporto con la strada e “stanno” nello spazio, rovesciandone le gerarchie che lo connotavano negli insediamenti compatti.
Richard Ingersoll si diverte nel creare un fotomontaggio in cui un’automobile è inserita nella “scena tragica” di Sebastiano Serlio , valutandone il corto circuito che questa semplice azione innesca, per il quale la prospettiva della scena fissa viene snaturata e lo spazio di facciate, piazze e vicoli rifiuta questa scomoda ingerenza.
Molto più a suo agio si trova invece l’auto nelle bretelle, nelle tangenziali, nelle circonvallazioni, in queste infrastrutture di “decompressione” centrifuga del traffico veicolare, pellicola di asfalto ai lati della quale lo sprawl si manifesta in tutta la sua “allucinata normalità” , per dirla alla Koolhaas: il ritmo che prima era serrato e costante diventa sincopato e “sedato”, le enclavi residenziali, commerciali o di qualsiasi altra funzione, risucchiano e rigettano il vuoto urbano contribuendo alla dispersione di ogni presunta logica misuratrice. L’impressione è che la città diffusa, la città generica o in qualunque altro modo la si voglia chiamare, smarrisca identità man mano che la sua densità si fa più rarefatta, secondo meccanismi per i quali la memoria della città che fu si perde tra i volumi figli delle teorie del Moderno e la parcellizzazione privata e selvaggia del territorio suburbano.
La direzione che buona parte degli studi sul tema urbano ha intrapreso ormai da trent’anni a questa parte punta dunque a restituire consistenza teorica e fisica agli insediamenti, nella nuova costruzione come negli interventi sull’esistente; la densità, oltre che presupposto fondamentale, diventa anche strumento progettuale con il quale garantire sostenibilità alle dinamiche di crescita di popolazione urbana che non accennano a diminuire. L’isolato allora si presenta come il “dispositivo urbatettonico”  elementare, come cellula costitutiva base attorno alla quale concentrare gli sforzi di ricerca dati la sua persistenza nella forma urbana e in definitiva il suo successo storicamente comprovato rispetto ad altre strutture di insediamento.

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sabato 14 aprile 2012

Aldo Rossi - Frammenti

Il termine "frammenti" mi sembra adatto a rappresentare una situazione della città moderna, o della architettura o della società. "Frammento" nella lingua italiana significa un piccolo pezzo staccato per frattura da un corpo qualunque. E con ciò esso esprime una speranza, ancora una speranza, e come tale non conviene con rottame, che esprime una moltitudine o un aggregato di cose rotte. In questa dizione, rottame potrebbe essere il corpo della città futura se le cose non dovessero cambiare e sempre più fosse accettato il disordine e poco meditata la previsione del futuro.
D'altronde, tra i suoi diversi significati, tra i quali quelli religiosi che qui non interessano, frammento significa letterariamente e artisticamente, un'opera o un componimento di cui si sia perduta gran parte, come il frammento di un libro, o l'opera stessa di un poeta di cui conosciamo solo e appunto i frammenti.
[...] Nel loro significato fisico (cose rotte, elementi mutilati) o nel loro significato generale (parti di un disegno complessivo perduto) è indubbio che i frammenti appartengono all'architettura; e vi appartengono quasi come elementi costruttivi e quasi come elementi teorici.
Attraverso questi frammenti fisici vorremmo esclamare, come nei libri dei nostri eroi o nei libri delle fiabe, "cara architettura"!. In fondo la sua materia, la sua genesi, la sua stessa vita relativamente breve ci sembra così umana e commovente da essere costretti a riguardarla con affetto.
[...] Per questo credo ancora nella città futura come in quella dove si ricompongono i frammenti di qualcosa rotto dall'origine: e quindi di una città libera, nella vita personale e anche nello stile.
Una città libera.

Aldo Rossi
disegni di studio per il cimitero di Modena e per il municipio di Scandicci, 1972 e 1968

mercoledì 11 aprile 2012

Giovanni Pietro Bellori - discorso all'Accademia

Quanto l'Architettura, diciamo che l'Architetto deve concepire una nobile idea e stabilirsi una mente, che gli serva di legge e di ragione, consistendo le sue inventioni nell'ordine, nella dispositione e nella misura ed euritmia del tutto e delle parti.
Ma rispetto la decoratione e ornamenti degli ordini sia certo trovarsi idea stabilita, e confermata sù gli esempi de gli Antichi, che con successo di lungo studio diedero modo a quest'arte; quando li Greci le costituirono termini, e proportioni le migliori, le quali confermate da i più dotti secoli, e dal consenso, e successione de' Sapienti, divvennero leggi di una meravigliosa Idea e bellezza ultima che essendo una sola in ciascuna specie non si può alterare senza distruggerla.

Giovanni Pietro Bellori, L'Idea del pittore, dello scultore e dell'architetto scelta dalle bellezze naturali superiore alla natura, 1664.